Trazione lombare attiva - TLA
Pubblicato il 08/03/2017 - Aggiornato il 23/10/2024
Queste informazioni non sostituiscono in alcun modo il colloquio con il tuo medico di fiducia.
Cos'è e come è nata la Trazione Lombare Attiva? Questa prestazione, una volta misteriosa, è stata ormai approfondita e chiarita. Le potenzialità della TLA sono molte, soprattutto nella cura di mal di schiena e sciatica.
- Cos'è la Trazione Lombare Attiva?
- Come si svolge la seduta di terapia?
- Quante sedute si devono eseguire?
- Funziona?
- Per quali casi è indicata o controindicata?
- Indicazioni
- Controindicazioni relative - indicazioni con particolare prudenza
- Controindicazioni assolute
- Come è nata e come funziona la TLA?
- Un meccanismo di azione sempre meno misterioso
- L’ipotesi compressivo-venosa
- Da un'ipotesi a molte conferme
- La Trazione Lombare Attiva in Auxologico
Cos'è la Trazione Lombare Attiva?
La Trazione Lombare Attiva o TLA (in origine, “Auto-trazione”) è una particolare tecnica di esercizio motorio, mirata a risolvere le lombo-sciatalgie (comunemente definite “mal di schiena” e “sciatica”).
Come si svolge la seduta di terapia?
Il paziente si adagia su uno speciale tavolo diviso trasversalmente in due sezioni. Il bacino viene ancorato attraverso una cinghia pelvica e una catena all'estremità podalica del tavolo (da qui la somiglianza, solo apparente, con le tradizionali trazioni passive). Il tavolo consente al fisioterapista, attraverso un pistone controllato elettricamente, movimenti passivi di flessione/estensione e di torsione della colonna vertebrale. Per prima cosa il fisioterapista deve identificare la posizione di non-dolore o di minimo dolore.
A questo punto il paziente stesso deve erogare un intenso sforzo volontario aggrappandosi con le braccia ad appositi sostegni per 5-6 secondi e deve poi lasciare la presa lentamente. Al paziente può essere richiesto anche di spingersi o di tirarsi con una o entrambe le gambe contro altri sostegni del tavolo. Dopo 10-30 secondi di pausa, la manovra viene ripetuta. Le manovre non devono causare alcun dolore. Durante le “auto-trazioni”, oppure fra manovre successive, il fisioterapista fa muovere il tavolo portando gradualmente il paziente verso le posizioni che, all’inizio del trattamento, erano percepite come più fastidiose o dolorose.
Le manovre consentono di “liberare” almeno temporaneamente dal dolore queste posizioni già all’interno di una singola seduta.
Quante sedute si devono eseguire?
Ogni seduta dura non oltre 30minuti. Le sedute si tengono ogni 2-4 giorni ma in caso di necessità si possono ripetere ogni giorno. Il paziente deve percepire un netto miglioramento dopo la terza seduta, talvolta a distanza di alcuni giorni. In questo caso, di regola, si eseguono altre 3 sedute (raramente altre 6).
Funziona?
Sì: vi è una forte evidenza accumulata in 40 anni di esperienza italiana, che va ormai molto oltre le casistiche limitate che furono oggetto delle prime pubblicazioni scientifiche sul tema. I risultati sono eccellenti e soprattutto sono di lunghissima durata (spesso permanenti). In caso di recidiva il ciclo di trattamenti si può ripetere.
Esistono situazioni (indicativamente, non oltre il 30%) nelle quali questa tecnica non dà risultati. In tal caso non si superano mai le 3-6 sedute.
Per quali casi è indicata o controindicata?
Indicazioni
L’indicazione deve essere posta dal medico. La Trazione Lombare Attiva è indicata per:
- dolore lombare o sciatico, sia acuto sia cronico, di natura “benigna”: quindi nei casi sostenuti da ernia discale e/o artrosi (ovvero da canale lombare ristretto o “stenosi” lombare);
- dolore cronico successivo a ripetuti interventi sulla colonna vertebrale, con formazione di cicatrici interne al canale vertebrale stesso (cicatrici “epidurali”, “aracnoiditi”).
Controindicazioni relative - indicazioni con particolare prudenza
La tecnica può essere somministrata senza utilizzare l’ancoraggio con cinghia pelvica, ma soltanto un auto-ancoraggio con i piedi da parte del paziente. Questo consente di applicare il trattamento, sia pure con particolare prudenza, in caso di:
- trapianti renali;
- lombosciatalgie in gravidanza: in presenza di un nulla-osta ginecologico, è possibile applicare la TLA anche per questa fastidiosa condizione, entro il sesto mese;
- dolori cervicali o agli arti superiori: possono rendere impraticabili molte manovre di auto-trazione, fino a rendere impossibile il trattamento.
Controindicazioni assolute
Vi è controindicazione assoluta in caso di:
- patologia vertebrale maggiore: fratture, tumori, malattie di competenza reumatologica;
- ernie addominali;
- prolassi addominali;
- flebiti in atto, poiché le manovre di auto-trazione comportano un aumento della pressione (anche venosa) addominale.
Come è nata e come funziona la TLA?
La TLA nasce da un’ idea svedese e la tecnica è molto originale. La tecnica di “autotraktion” fu ideata dal medico svedese Gertrud Lind all’inizio degli anni ’70 del 1900 e fu poi sviluppata da un suo allievo, il medico bulgaro naturalizzato svedese Emil Natchev.
Il Prof. Luigi Tesio importò la tecnica in Italia nel 1984, pubblicò i primi studi clinici di efficacia, ne modificò il nome (da “Autotrazione” a “Trazione Lombare Attiva”) e la semplificò moltissimo. Egli contribuì inoltre al disegno del tavolo utilizzato attualmente, anch’esso molto semplificato rispetto alla versione originale. L’esperienza del prof. Tesio e dei suoi allievi e collaboratori ha dunque quasi raggiunto i 40 anni di durata e una casistica di molte migliaia di pazienti trattati.
Un meccanismo di azione sempre meno misterioso
Il meccanismo di azione è sempre apparso alquanto misterioso e quasi contraddittorio rispetto agli approcci dominanti. In caso di ernia discale o canale ristretto si tende a considerare il dolore come effetto di una compressione diretta su terminazioni nervose. La manovra di “autotrazione” aumenta la pressione discale che quindi dovrebbe sporgere ulteriormente e questo (in teoria, ma l’evidenza clinica dice il contrario), dovrebbe aumentare la compressione nervosa in atto.
Più in generale, i modelli prevalenti di cura delle lombosciatalgie tendono tuttora a privilegiare la cura del dolore in sé ma con scarsa attenzione al meccanismo che lo genera (la “patogenesi”): non a caso si parla ancora di ”mal di schiena” mentre nessuno accetterebbe più una diagnosi di “mal di pancia” o di ”mal di occhio”.
Dunque ci si accontenta spesso di ipotesi genericamente “infiammatorie” o esclusivamente meccanico-compressive, come sopra riportato. Talvolta si ricorre a spiegazioni più “posturali-funzionali”: sbilanciamenti nel carico sugli arti inferiori, minime deviazioni scoliotiche vertebrali, improprie posizioni lavorative, sovraccarichi cronici sulla colonna vertebrale, ecc.
Certamente tutto può contribuire ma queste spiegazioni affrontano un problema che è soprattutto locale in modo molto, molto indiretto. Le proposte di cura, quindi, sono le più varie. In prima battuta si ricorre a una (spesso molte di più) delle moltissime terapie antidolorifiche disponibili: farmaci, infiltrazioni, tecarterpia, agopuntura ecc.). Le interpretazioni “posturali-funzionali” generano anch’ esse proposte molto varie e contraddittorie, terapeutiche e preventive: busto verso esercizi di potenziamento lombare, riposo verso attività aerobica, farmaci sistemici verso infiltrazioni locali, controllo del peso, ecc.
Nei casi refrattari si può proporre l’intervento chirurgico come eradicazione meccanico-anatomica della “causa” del dolore, interpretato come effetto di una compressione nervosa. Anche qui le soluzioni proposte possono essere diverse: asportazione di ernia discale (discectomia), decompressione (allargamento) del canale vertebrale ampia (laminectomia) o focale (foraminotomia), “stabilizzazione” delle vertebre lombari con placche e viti.
Certamente ci sono casi nei quali l’intervento è inevitabile. Gran parte dei pazienti, tuttavia, resta in una terra di mezzo: il dolore non si risolve con trattamenti sintomatici ma il quadro clinico non raggiunge la soglia di gravità per un intervento chirurgico; oppure l’intervento resta controindicato per motivi internistici.
La narrazione tipica di questo paziente che per lunghi anni passa da una cura all’altra è descritta nel manuale d’uso della TLA.
L’ipotesi compressivo-venosa
Il prof. Tesio ha elaborato negli anni un modello di “patogenesi” che spiega meglio la situazione. Qualsiasi compressione, anche modesta, all’interno del canale vertebrale può generare non soltanto sofferenza diretta di terminazioni nervose ma anche un ostacolo al deflusso delle moltissime vene che tappezzano il canale stesso al suo interno.
Questo meccanismo genera dolore sia attraverso compressione diretta di terminazioni nervose (anche le vene dilatate, non solo un’ernia discale, invadono spazio), sia attraverso una sofferenza vascolare cronica (quindi: metabolica e infiammatoria) delle terminazioni stesse. In sostanza, il rallentamento del circolo genera una sorta di tromboflebite locale che danneggia cronicamente le molte terminazioni nevose presenti.
Secondo il modello allargato “compressivo-venoso”, dunque, la TLA non sarebbe altro che una serie ingegnosa di manovre che per prima cosa orientano il canale vertebrale nella posizione che favorisce maggiormente la “fuga” del sangue venoso attraverso gli spazi intervertebrali. A questo punto, lo sforzo di “auto-trazione”, generando intensa contrazione della muscolatura paravertebrale, inserisce una efficace “pompa muscolare” che favorisce per “spremitura” il deflusso venoso. Le manovre interromperebbero il circo vizioso fra compressione, ristagno venoso, infiammazione locale, ulteriore compressione. La guarigione da una tromboflebite locale spiegherebbe così sia la risoluzione del dolore, sia la lunga durata (anche di molti anni) dell’effetto.
Da un'ipotesi a molte conferme
L'“ipotesi venosa” del dolore lombosciatico e dell’efficacia della Trazione Lombare Attiva fu avanzata già nel 1991 dal Prof. Tesio, anche sulla base di osservazioni cliniche di un fisiatra americano, Myron LaBan.
LaBan aveva acutamente interpretato come di origine venosa molte forme di dolore lombare inspiegabilmente associate a condizioni internistiche. Nei decenni successivi le moderne tecniche di risonanza magnetica nucleare e anche il rifiorire di studi di anatomia macroscopica del rachide hanno dato ampio supporto alla ipotesi che il dolore lombosciatico cronico possa avere anche (e in molti casi, soprattutto) un’origine venosa. Il mistero della efficacia della TLA sembra dunque diradarsi.
Leggi la pubblicazione scientifica
La Trazione Lombare Attiva in Auxologico
La tecnica è disponibile presso più sedi:
- Auxologico Capitanio (MI),
- Auxologico Pioltello (MI),
- Auxologico Meda Riabilitazione (MB).
I trattamenti sono prescrivibili solo privatamente ed è richiesta prescrizione medica per “trattamento con trazione lombare attiva”.
È consigliabile una visita fisiatrica presso le stesse sedi ove si applica il trattamento. Questo passaggio è obbligatorio in caso di lombosciatalgia in gravidanza.