Tumore al seno: la storia di Catia
Pubblicato il 29/10/2021 - Aggiornato il 10/10/2024
«In due parole: un santo del paradiso deve aver lanciato uno sguardo su di me perché era la prima volta che oltre alla mammografia facevo anche l’ecografia. La mia dottoressa di riferimento me lo consigliava sempre, ma solo al terzo controllo avevo aggiunto anche il secondo esame. Un anno esatto dopo la prevenzione dell’anno prima ero in ambulatorio e la diagnosi non era favorevole».
Catia oggi ha 50 anni, i suoi figli Beatrice e Andrea hanno superato l’adolescenza e l’esperienza di una mamma malata di tumore al seno. 7 anni fa però, la notizia arrivava dopo la separazione dall’ex marito, una grande perdita di peso e una situazione di grande stress. «Quello che mi ha fatto più effetto è stato sentire la parola cancro. Sapere di avere qualcosa dentro di me mi ha devastata. L’idea di avere un tumore che ti mangia dentro.
Poi ti documenti, capisci che c’è la possibilità di uscirne e di tornare a stare bene. Però il pensiero della chemioterapia, la previsione di perdere i capelli. Una persona con cui lavoro ci era già passata e la vedevo molto serena, sorridente. Mi diceva “non preoccuparti per i capelli, dopo ti ricrescono anche meglio!».
Tutti i giorni Catia si prende cura delle donne che si recano nel suo consultorio per avere informazioni o soluzioni in ambito ginecologico. È abituata a curare le altre, ma il tumore le fa spostare lo sguardo su sé stessa. In passato aveva già dovuto subire l’asportazione dell’utero a causa di gravi fibromi.
«I fibromi erano benigni, ma quando mi hanno detto del tumore al seno sono tornata al lavoro e sembravo un fantasma. Credo di aver pianto un giorno intero e di aver attraversato tutte le fasi del dolore. Come in un lutto. La negazione: pensi che si siano sbagliati, ma sai che non è così. Il rifiuto. La rabbia: ti dici perché proprio a me?
E poi vuoi agire, ti attacchi alla vita. Nel mio caso forse ci voleva anche, so che è un paradosso ma credo mi abbia un po’ salvata: mi stava andando tutto storto, ero stata lasciata, ero dimagrita, avevo due figli da mantenere. Mi sono detta “adesso voglio vivere”».
DUE NODULI
Vivere per sé stessa, per i suoi figli, per tutte le persone che le vogliono bene è il mantra che Catia ripete per darsi forza. Intanto arriva l’intervento chirurgico. I noduli sono due, il secondo emerge con la risonanza magnetica. Viene operata allo IEO dove le danno anche la possibilità di farsi applicare la protesi del seno. «Con l’operazione erano andati così in profondità che non è stato necessario fare la radioterapia. Per 5 anni mi hanno prescritto il tamoxifene, una pastiglia da prendere tutti i giorni alla stessa ora, che ho terminato l’anno scorso». Ogni anno deve fare gli esami del sangue, la densitometria MOC (un esame radiologico che misura la massa e la densità dei minerali contenuti nello scheletro, permettendo la diagnosi di osteopenia o osteoporosi), la visita senologica e plastica, in tutto per 10 anni. Ne manca ancora qualcuno.
Vivere con una protesi che non hai scelto non è semplice, racconta Catia: «scherzando ho sempre raccontato che se fossi diventata ricca sarei passata da una seconda a una terza di reggiseno. Ma era solo un gioco, non l’avrei mai fatto. E invece la terza è arrivata. Capita che quando vuoi tanto una cosa, quando la ottieni, poi non la vuoi più. Io sento la protesi come un corpo estraneo, rimpiango il mio vecchio seno, ma la vita è così. Il chirurgo plastico mi ha chiesto se volessi una protesi di taglia terza a destra e una protesi additiva al seno sinistro, dove non avevo avuto l’operazione, e oggi posso comunque chiamarla una rivincita. Non ho scelto io quando, come, con le mie facoltà, ma volevo un bel seno e ora ce l’ho, e questo è un bel riscatto».
NON VERGOGNARSI DELLE CICATRICI
Le cicatrici si vedono ma Catia non se ne vergogna. Il suo compagno, Luca, era solo un amico al tempo dell’intervento, ma dalla prima visita in ospedale non l’ha più lasciata sola: «è importante avere accanto una persona che ti apprezza per quello che sei e che non si fa impressionare dai segni sul corpo. Ho capito che era al mio fianco non solo per il mio aspetto fisico».
La famiglia di Catia comprende anche la madre, a cui è stato difficile dare la notizia e la sorella, Angela, che l’ha sempre accompagnata alle visite e che aveva avuto in prima persona un nodulo al seno, benigno, e quando era molto giovane era stata operata dal Professor Veronesi.
LA PREVENZIONE
«Una delle mie tesi di laurea l’ho dedicata alla prevenzione. In quel caso mi ero occupata di pap test, ma il principio è sempre lo stesso. Se non si fa prevenzione e non si scopre per tempo una possibile malattia, le conseguenze possono essere tragiche. L’epilogo può essere la morte. Provo a far sentire alle donne quali sono i sentimenti che ho attraversato io in prima persona. Se non funziona neanche quello, ricordo loro che hanno figli, parenti, persone care: cosa potrebbero pensare un giorno, sapendo che qualcosa si poteva fare per contrastare il male e non l’hanno fatto? Parlo con le giovani, che ne sanno poco, o con le donne adulte che dicono di non avere il tempo o la voglia. Trovate il tempo per voi stesse, ripeto. E di solito riesco ad essere convincente».
«Io sono viva prima di tutto grazie ai miei figli, ma chiunque deve trovare qualcuno o qualcosa per cui valga la pena vivere».
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