Una ricerca pubblicata sulla rivista internazionale “Frontiers in Psychology” e condotta presso il reparto di riabilitazione cardiologica dell’Ospedale San Luca e coordinata dal Prof. Gianluca Castelnuovo, Direttore del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia di Auxologico, si è proposta di indagare cosa accade quando a una persona viene detto non solo che il suo cuore non funziona più, ma che per funzionare occorre un cuore artificiale, un ospite indesiderato che consente però di vivere.
Cuore artificiale e caregiver
La ricerca però si è proposta anche di indagare cosa succede alle persone vicine al malato al fine di valorizzare le risorse relazionali che si mostrano imprescindibili nel nuovo compito di vita che la malattia (e il cuore nuovo) comportano. Infatti, l’impianto di un cuore artificiale (il nome scientifico è "Left Ventricular Assist Device" o più comunemente detto LVAD) presuppone la presenza costante di un caregiver, ovvero di una persona supportiva vicina al malato che lo aiuti a gestire al meglio le sfide della malattia.
Ma non solo perché la malattia innesca un periodo di transizione nel quale trovare nuove e più adeguate modalità di funzionamento, attraverso una ridefinizione dei confini e delle relazioni, una nuova ridistribuzione dei ruoli e dei compiti.
Molti studi hanno ormai chiarito che la presenza di un partner con cui condividere pensieri, aspettative, e preoccupazioni a seguito di una malattia cardiaca, possa essere benefica per la salute fisica e mentale del malato, diminuendo anche il rischio di ricadute e il tasso di mortalità.
I risultati dello studio
Questo studio è il primo in Italia che dà voce ai pazienti ai cui è impiantato un cuore artificiale (LVAD) e ai loro cari. È stata somministrata un’intervista semistrutturata a 6 pazienti con LVAD e i loro rispettivi caregiver. La ricerca ha mostrato gli effetti etici che l’opzione terapeutica del LVAD comporta al paziente e ai suoi familiari e l’importanza della sensibilizzazione della donazione degli organi in Italia. Paziente e caregiver considerano il momento successivo all’impianto del cuore artificiale come un momento di passaggio in cui si è tra la vita e la morte. Emerge infatti un sentimento contrastante di ambivalenza rispetto al cuore nuovo: consente di vivere, ma accettarlo non è semplice.
Cuore nuovo, vita nuova
Al paziente infatti è richiesto di modificare il proprio stile di vita, sono richieste visite e controlli costanti e la necessità di familiarizzare con i cavi e il dispositivo, ma anche con ripetute ospedalizzazioni e una gestione della quotidianità che inesorabilmente cambia. Anche ai caregiver la vita un po’ cambia: spesso si trovano in una situazione nuova e talvolta onerosa, capita di essere incerti e non sapere come essere realmente supportivi. Anche nei caregiver emerge un sentimento contrastante di gratitudine per i progressi della scienza e la possibilità che il proprio caro viva con un cuore artificiale, ma anche un senso di abbandono e solitudine per il ruolo di cura imposto.
La nostra ricerca ha chiarito inoltre che anche chi si prende cura del malato presenta una salute psico-fisica precaria, a riprova del fatto che la malattia è qualcosa di relazionale che va oltre il mero soggetto malato. Occorre, tramite queste ricerche ancora agli albori, esaminare l’interdipendenza dello stress dei partner durante la malattia e come questo viene gestito dai due, perché le reazioni possono essere le più diverse, si possono prendere le distanze e fingere che tutto sia uguale a prima o all’opposto si possono perdere i confini (e le sicurezze) individuali, e fagocitare l’altro in un rapporto invischiante. «Ma c’è una buona notizia – dice il Prof. Gianluca Castelnuovo. Esiste anche un supporto benefico. È quindi importante studiare questo momento di vita, per progettare interventi che prendano in carico l’intera coppia che sia accompagnata in questo delicato momento di vita che può rivelarsi una preziosa occasione di scoperta individuale e delle proprie risorse relazionali».
Psicologia Clinica e Psicoterapia in Auxologico
Il Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia, a direzione universitaria grazie alla collaborazione con la Facoltà di Psicologia e la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università Cattolica, si caratterizza per l’elevata professionalità degli psicologi, psicoterapeuti e psichiatri coinvolti, diretti e coordinati da Gianluca Castelnuovo, Professore Ordinario di Psicologia Clinica alla Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica della stessa università, di cui Auxologico è sede di insegnamento.
L’equipe prevede momenti di periodica supervisione e coinvolgimento anche di altre professionalità sanitarie (medici specialisti, dietiste, fisioterapisti, educatori professionali, ecc.) della rete di Auxologico, quando necessario. Gli psicologi, psicoterapeuti e psichiatri coinvolti si avvalgono di diversi orientamenti teorici (psicodinamico, cognitivo-comportamentale, sistemico-strategico, umanistico-esistenziale, ecc.) per rispondere in maniera personalizzata alle problematiche poste dagli utenti, nel rispetto di una presa in carico della persona secondo un approccio biopsicosociale, fondamento di Auxologico fin dalle sue origini.