La variante Omicron e le sue sottovarianti
Pubblicato il 28/12/2021 - Aggiornato il 22/04/2022
Queste informazioni non sostituiscono in alcun modo il colloquio con il tuo medico di fiducia.
Le sottovarianti di Omicron sono in rapida evoluzione. Che caratteristiche presentano?
Variante omicron: nuove evoluzioni
La variante Omicron è una variante del Coronavirus SARS-CoV.2, identificata per la prima volta nel novembre 2021 in Botswana e successivamente in Sud Africa.
È stata denominata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) come B.1.1.529 e classificata “VOC” ovvero variante preoccupante.
Da un punto di vista molecolare si differenzia dalla Delta perché il virus ha subito 50 mutazioni e quindi è molto differente dagli altri ceppi di SARS-CoV-2 fino ad ora emersi: Alfa (ceppo cinese originale), Beta (Sud Africa), Gamma (Brasile) e Delta (India).
Omicron appartiene pertanto a un diverso lignaggio (una specie di albero genealogico) rispetto alle altre varianti.
Dalla fine dell'anno 2021 si sono verificate alcune mutazioni della variante originale Omicron dovute a un “riassemblaggio” dello stesso virus. Questo riassemblaggio (in gergo scientifico "sottolignaggio”) ha dato origine a 2 sottovarianti denominate BA.1 (la prima a comparire) e poi BA.2 , molto contagiosa e diffusa ormai ubiquitariamente soppiantando il ceppo originale Omicron.
Si sono poi verificate anche altre mutazioni date sia da una combinazione delle 2 sottovarianti BA.1, BA.2 e da mutazioni “originali” non precedentemente rilevabili. Si sono così originati altri ceppi virali “ibridi” denominati come “X” seguiti da altre lettere. Da rilevare la variante XE che sembra avere una contagiosità del 10-15% ancora più elevata rispetto a BA.2. Prima di XE sono state sequenziate in vari Paesi, tra cui anche l’Italia, altre varianti come XA, XB, XF e ultimamente XJ, molto simile a XE.
Contagiosità
Come sopra segnalato, secondo i più recenti studi sulle riviste scientifiche internazionali epidemiologici e confermati anche dall’OMS, risulta che la variante XE sia di circa il 10-15 % più contagiosa della variante originale Omicron (che a sua volta era già più contagiosa di Delta).
La maggiore contagiosità deriva dal fatto che sia Omicron, sia le sottovarianti Ba.1 e BA.2 e XE, hanno la caratteristica di aderire meglio al recettore Ace 2, sito sulla trachea e bronchi, penetrando più rapidamente nelle cellule dell’ospite e replicandosi così molto più velocemente rispetto alle altre varianti di SARS-CoV-2 (alfa, beta, delta).
Attraverso questa elevata replicazione nelle prime vie respiratorie (naso, cavo orale, trachea) delle persone contagiate, la trasmissione interumana è più facile. Infatti, si produce un aerosol molto più carico di particelle virali infettanti emesse durante la respirazione o mentre si parla a poca distanza da altri. Anche le varianti BA.2 e XE si diffondono meglio soprattutto nei luoghi chiusi senza ventilazione.
Diffusione
Da un punto di vista di diffusibilità, il ceppo XE potrebbe essere candidato a sostituire progressivamente BA.2 sia in Italia che in altri Paesi europei. I dati sono in rapida evoluzione, essendo aggiornati quasi giornalmente, ed è attualmente difficile avere una stima precisa in termini percentuali. Analisi genotipiche eseguite nel Regno Unito evidenziano che XE ha raggiunto una prevalenza quasi del 10-20%. Probabilmente tra un mese avremo dati più stabilizzati e potremo trarre qualche conclusione con un margine di affidabilità molto maggiore di adesso riguardo alla percentuale diffusibilità delle nuove varianti.
Pericolosità
La variante Omicron e anche le nuove sottovarianti come BA.1, BA.2 e XE “attaccano” meno i polmoni rispetto a Delta non provocando forme gravi respiratorie che necessitano il ricovero in reparti internistici o di terapia intensiva.
Sintomi
Secondo un recentissimo studio fatto su una popolazione di 63002 persone di cui 4990 affetti da Omicron e pubblicato il 7 Aprile 2002 sulla prestigiosa rivista “Lancet”, i principali sintomi di Omicron riscontrati sono i seguenti: rinorrea ovvero naso che cola (76,5%), mal di testa (74.7%), mal di gola (70,5%), starnuti (63%), tosse persistente (49%), raucedine (42%). Può comparire febbre ma meno frequentemente che nella variante Delta.
Durata
La durata media dei sintomi di Omicron è più breve (6,87 giorni in media) rispetto a Delta (8,89 giorni in media). Potenzialmente, la contagiosità di Omicron è quindi minore che della variante Delta
Lo studio inoltre conferma che la prevalenza dei ricoveri in ospedale è molto più bassa per Omicron rispetto a Delta.
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La protezione vaccinale
Per quanto riguarda la protezione vaccinale per Omicron, dati ormai consolidati da numerosi lavori scientifici, evidenziano che l’efficacia dei vaccini nei confronti dell’infezione, della trasmissione ad altri e della malattia sintomatica, è ridotta. In particolare, dopo il completamento del ciclo vaccinale di due dosi da più di 120 giorni.
Un dato importante emerso conferma però che la protezione vaccinale, anche se ridotta, conserva comunque l’efficacia nel prevenire le patologie gravi che portano il malato in ospedale o addirittura in terapia intensiva e, in alcuni casi per fortuna rari, al decesso. Attualmente EMA e il Ministero della Salute hanno autorizzato e consigliato la somministrazione di una quarta dose ai soggetti ad alta fragilità e agli ultra ottantenni.
E’ molto probabile e auspicabile che nel prossimo autunno potremmo avere a disposizione un vaccino aggiornato che contenga sia il virus originale di Wuhan che altre varianti e/o sottovarianti come Omicron e XE, Si sta anche lavorando per produrre un vaccino “combinato” che contenga oltre a SARS-CoV-2 anche il virus influenzale stagionale.
E chi non è vaccinato?
Molto diversa è la situazione per i non vaccinati dove invece il rischio di finire in ospedale (o peggio in rianimazione) è, come già detto, comunque molto alto anche in presenza delle nuove varianti. I dati statistici confermano che il rischio di essere ricoverati in rianimazione per i non vaccinati è enormemente superiore ai vaccinati. Tali rischi, in molti casi, sono addirittura 27 volte superiore rispetto ai vaccinati.
Inoltre i non vaccinati contribuiscono anche a diffondere ulteriormente il virus, rendendo difficile un’efficacie contenimento della circolazione del virus.