Salta al contenuto principale

Mario Colombo sulle fragilità del sistema sanitario lombardo

Pubblicato il 29/01/2021 - Aggiornato il 21/10/2024

Pubblichiamo il testo dell'intervento del Dott. Mario Colombo, Direttore Generale di Auxologico, al convegno "Le fragilità del Sistema Sanitario lombardo: esperienze e rimedi" organizzato dalle Fondazioni AMBROSIANEUM e MATARELLI

28 gennaio 2021

Le fragilità del sistema sanitario lombardo sono, a mio avviso,  il riflesso delle fragilità dell’intero nostro sistema sanitario nazionale.

Voglio introdurre il mio intervento con questa affermazione per chiarire subito la mia posizione, che non è di completa soddisfazione del sistema lombardo attuale, ma nemmeno di critica assoluta dello stesso. 

In questo ultimo anno di pandemia, molto spesso le critiche al sistema sanitario lombardo sono state veicolate con argomentazioni più politiche che tecniche, ovvero confondendo meschinamente errori tecnici con scelte politiche.

Indubbiamente la pandemia ha messo ancor più in evidenza le difficoltà del sistema sanitario italiano, ben presenti e ben note a tutti. 

I riflettori sono stati intensi, troppo e strumentalmente intensi, perché sul palcoscenico non vi era una piccola o pur grande Regione del sud Italia: era invece inquadrata Regione Lombardia, uno dei distretti economici più importanti d'Europa amministrata da decenni dal medesimo orientamento politico.

Ecco perché la mia analisi non si concentrerà primariamente sulle criticità emerse dalla pandemia, che richiederanno tempo e maggiori approfondimenti -forse un'analisi storica- per essere interpretate nello specifico,  ma su alcuni fattori che mettono in difficoltà il sistema sanitario lombardo alla pari degli altri sistemi regionali italiani e del sistema che noi continuiamo ad appellare come sistema sanitario nazionale. 

Sulla fragilità del nostro sistema sanitario, lombardo o nazionale che sia, si sono scritti fiumi di parole, testi … si sono tenuti simposi che convergono in massima parte nell’individuarne i fattori di rischio, l'oggettività del problema/ la malattia, e le azioni per il rimedio/ il percorso di cura.

Ciò che invece manca ancora, ed è il vero motivo per cui il dibattito è ancora aperto, è la terapia concreta da somministrare, in grado di “mitigare” la fragilità del nostro sistema sanitario.

Parlo volutamente di “mitigare” e non di “curare” o, addirittura, “guarire” perché ritengo che un sistema sanitario non possa mai definirsi perfetto e concluso dal momento che è in continua tensione rispetto a delle variabili assolute. Un sistema sanitario dev'essere in continua tensione pronto a trovare soluzioni adeguate al crescente bisogno di salute.
Il bisogno di salute non è un dato definito ora e per sempre, è in continua evoluzione, per vari motivi:

  • il progresso delle conoscenze mediche: che  porta a individuare nuove malattie e i meccanismi di azione di quelle già conosciute, crea nuovi bisogni di salute;
  • il progresso della tecnologia, diagnostica e curativa, determina un aumento del bisogno di salute;
  • la cronicizzazione delle malattie, l’invecchiamento della popolazione contribuisce all’aumento del bisogno di salute;
  • l'acculturamento in generale della popolazione, la maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione e del rispetto di stili di vita sani, la circolazione delle informazioni mediche con il web e i social media portano anche essi all’aumento del bisogno di salute;
  • l’incremento dell’offerta sanitaria, sia da parte delle strutture pubbliche, sia da parte di quelle private (comprese assicurazioni e fondi sanitari).

Ci troviamo di fronte, da una parte, a bisogni ulteriori, domanda crescente, offerta sanitaria in sviluppo sia per risposta alla domanda sia come espressione della imprenditorialità e, dall’altra parte, a  risorse economiche limitate sul fronte del finanziamento pubblico e della capacità di spesa privata.

La fragilità del nostro sistema sanitario va inserita in questo contesto, non per cercare soluzioni mirabolanti e definitive, che non appartengono a questo mondo, ma per definire dei macro obiettivi, delle linee di comportamento coerenti con una visione della vita umana, della sua salute e di conseguenza di uno strumento organizzativo com'è il servizio sanitario regionale.

Uno dei temi che più appassionano il dibattito odierno in Italia e in particolar modo in Regione Lombardia è la ritenuta privatizzazione del sistema sanitario, con una crescente presenza di erogatori privati e quantità di risorse a favore di questi soggetti rispetto al pubblico.

Ritengo che la connotazione pubblica o privata degli erogatori poco centri con la fragilità del sistema. Penso sia sicuramente un errore dare per scontato, senza alcuna verifica, che una struttura sanitaria privata possa offrire servizi di pubblica utilità in quanto portatore degli stessi orientamenti valoriali e degli stessi interessi di quelli presupposti nel soggetto erogatore pubblico.

Sicuramente è importante definire standard di accreditamento strutturali e organizzativi dei nostri ospedali al fine di omogenizzare verso l’alto la qualità degli stessi, ovvero introdurre elementi di valutazione delle performances in termini di degenza media, ritorno in ospedale dopo un intervento, mortalità.

Se ci fermiamo però a questo livello, per dirla con una metafora, stiamo ancora parlando della carrozzeria dell'autovettura, del suo colore, se a due o 4 porte … non stiamo ancora parlando della comunanza di valori e di obiettivi che sono i soli che possono qualificare un sistema sanitario come pubblico. 
Esprimo lo stesso pensiero anche in modo differente con una specie di sillogismo. 

La sanità si occupa di persone, le persone guardano alla sanità per la propria salute, la salute riguarda la vita, la vita è il bene più prezioso che ci è stato donato e che dobbiamo conservare.

Ebbene, io imprenditore privato, che ho spirito imprenditoriale, faccio la scelta di non investire in supermercati, in treni, in aerei, in sale cinematografiche …. ma decido di investire su ciò che è più importante per l’uomo, la sua vita, la sua salute, decido di investire in sanità. Sono imprenditore, conosco la nozione di impresa, so bene che il profitto è connaturale al mio ruolo, alla mia azione.
Che un imprenditore privato guadagni nel vendermi una scatola di biscotti, nel trasportarmi da Linate a Lamezia Terme, nel farmi vedere un film  comprato in rete è una cosa scontata accettata e accettabile…. che un imprenditore privato guadagni per avermi salvato la vita, in pronto soccorso, con una diagnosi tempestiva, con un intervento chirurgico … è un'altra cosa, non scontata, forse non accettata, forse non accettabile.

Diamoci pure come assunto, discutibile, che tutte le attività dovrebbero puntare, in linea di principio, a una economicità (dimenticandoci per un attimo che molti beni, diritti, valori non sono riducibili al semplice equilibrio economico tra costi e ricavi e dimentichiamoci per un attimo anche della gratuità).

Laddove l'economicità sia possibile anche in sanità, è corretto/accettabile che l’utile gestionale, il guadagno, vada indirizzato a finalità differenti dalla sanità? E’ accettabile, e non pongo un discrimine giuridico, morale o etico che un erogatore sanitario, pubblico o privato che sia, utilizzi il risultato economico positivo per fare altro … per acquisire partecipazioni azionarie in attività non sanitarie o correlate, per acquistare un immobile in un bel luogo di villeggiatura, una squadra di calcio, per incentivare i propri manager alla massimizzazione del profitto?

Ecco, la fragilità del sistema sanitario, lombardo o italiano, se vuole a tutti i costi essere ricercata nella dualità/contrapposizione tra pubblico e privato, deve essere anche letta in questo contesto.

Il soggetto privato può ben concorrere con pari obblighi e diritti al servizio sanitario pubblico se vi è concordanza di valori e di intenti.

Di fronte all’emergenza COVID sono state fatte, a sproposito, critiche generalizzate al sistema privato a dir la verità con il tempo seguite anche da qualche scusa. E’ stato detto che il privato non si è mosso subito a differenza del pubblico, che ha dovuto aspettare la richiesta del sistema pubblico perché forse, il retro-pensiero, non ci avrebbe guadagnato.

Premesso che il privato, almeno per quello che mi consta in Regione Lombardia e sicuramente per le principali e più note strutture tra le quali posso anche annoverare Auxologico che dirigo, ha dato un contributo tempestivo e formidabile in questa emergenza … il problema è mal posto. Se il privato è considerato parte integrante e non parte terza del sistema pubblico è d’obbligo aspettarsi comportamenti coerenti. Se le regole d’ingaggio al sistema sanitario pubblico sono chiare sin dall’inizio, allora si discute sul loro rispetto e basta.

Occorre quindi, a mio avviso, occuparsi un po’ di più del motore e meno della carrozzeria, capire meglio quali sono i tratti distintivi tra pubblico e privato perché pubblico e privato sono aggettivi “qualificativi” …. che danno senso, perché se capiamo meglio quali sono i tratti distintivi potremmo porre dei requisiti di accreditamento che non riguardino solamente la dimensione delle camere, i ricambi d’aria delle sale operatorie o i minuti infermieristici …. ma potremmo qualificare meglio cosa ci si aspetta da un erogatore del servizio sanitario, cosa deve condividere in termini di valori e obiettivi un soggetto giuridico privato per essere parte integrante e pari livello di un soggetto con natura giuridica pubblica.

Solo a titolo di cronaca ricordo che la Regione che in Italia ha la percentuale maggiore di posti letto privati accreditati non è la Regione Lombardia (che ne ha il 38%), ma la Regione Lazio con il 51,1% seguita a poca distanza dalla Regione Campania. 

***

Mi soffermo ora, più brevemente,  su un'altra fragilità, una piaga endemica del nostro sistema sanitario nazionale, e ovviamente anche di Regione Lombardia:  il rapporto con il territorio sia per quanto riguarda il medico di medicina generale, sia per la continuità di cura.

Già all’indomani della creazione del Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978, si evidenziava nel territorio il vero campo di battaglia, il vero snodo per rendere effettivo un SSN unico per tutti. Il medico di famiglia come noi oggi lo intendiamo nasce proprio con la riforma del 1978 che riconosce un ruolo centrale alla cura in ambito extraospedaliero.

Per il nostro ordinamento il medico di famiglia riveste infatti alcune peculiarità:

  • presta servizio sul territorio;
  • rappresenta il punto di accesso del cittadino al SSN;
  • coordina sotto la sua responsabilità l'intera vita sanitaria dei suoi pazienti;
  • è responsabile della cura globale della persona.

Basti pensare al numero di informazioni che il medico di famiglia può fornire per l’erogazione di servizi assistenziali (dai presidi all'inserimento nelle case di riposo). A questo si aggiunge che, permettendo a tutti di avere una risposta pronta e gratuita ai propri bisogni di salute, il medico ha un ruolo indispensabile anche nella sostenibilità del SSN sia nella cura delle patologie da primo approccio, sia nella selezione degli esami strumentali di primo livello. Senza questo filtro il SSN non reggerebbe l'urto di una marea di richieste spesso inappropriate.

 E' necessario quindi “potenziare le attività dei medici di famiglia e lavorare “sui modelli organizzativi per rendere la medicina generale ancora più adeguata ai bisogni di salute dei cittadini”. Lavorare su una maggiore integrazione dei medici di famiglia con i soggetti erogatori di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, dotandoli di strumenti informativi e di tracciamento efficaci dei bisogni dei pazienti, mettendoli in condizione di dialogare in modo moderno con gli specialisti e non relegarli, come ogni tanto si ha l’impressione che succeda, a meccanismi burocratici del sistema.

Nel corso degli anni vi sono stati in Regione Lombardia più tentativi di recuperare il rapporto con il territorio, con obiettivi nobili e condivisibili, ma con attuazione non del tutto positiva. Faccio riferimento alle ultime esperienze, quelle dei CREG e alla più recente PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE CRONICO. In questa ultima esperienza, che aveva come target un bacino enorme di 3 milioni di pazienti cronici, la redemption è stata molto limitata e soprattutto questo progetto è nato ed è stato condotto all’interno di forti polemiche e contrapposizioni in quanto non è stato condiviso, in particolare dai medici di medicina generale e dalle società scientifiche. Tra le obiezioni principali vi era proprio quella del mancato coinvolgimento del medico di famiglia che, per il paziente cronico, veniva di fatto spogliato dalla presa in cura lasciando però aperti aspetti di efficacia e responsabilità per tutte le altre patologie correlate. Altre criticità sono state poi sollevate dai centri specializzati nel trattamento delle varie patologie croniche sia per il setting di esami previsto sia per la mancanza di percorsi di cura conformi alle linee guida nazionali e internazionali e, obiezione non di minore importanza, per la non adeguata remunerazione della complessità delle patologie che avrebbe potuto portare anche a comportamenti distorsivi.

Nei vari tentativi susseguiti negli anni di recuperare il rapporto ospedale territorio e la continuità di cura del paziente si devono anche annoverare le realizzazioni di forme di ospedalizzazione meno intensiva (cure intermedie, riabilitazione generale e geriatrica, riabilitazione di mantenimento) per decongestionare gli ospedali, rendere più appropriati i setting di cura e consentire il rientro al domicilio o verso strutture di residenzialità protetta.

Esperienze che si sono realizzate positivamente ma non nei termini, nei volumi e con gli obiettivi attesi. Anche per queste esperienze il coinvolgimento dei medici di famiglia è stato minimo e gli erogatori sanitari non  hanno risposto in modo omogeneo a queste nuove forme organizzative lamentando, tra l’altro, una non chiarezza dei criteri di accesso e una non adeguata remunerazione dell’attività.

In queste esperienze, a mio avviso, è stata carente un'ampia e preventiva azione di confronto e condivisione con tutte gli stakeholder, indubbiamente i medici di famiglia, gli erogatori e le società scientifiche e, presupposta la condivisione, piani attuativi chiari con un forte coordinamento e integrazione. 

L’aspetto dell'integrazione è forse quello più importante perché occorreva e occorre fare parlare interlocutori differenti, di più territori, che devono contemperare esigenze cliniche, organizzative ed economiche per un univoco programma di cura del paziente.

Dire che il medico di famiglia è il punto di contatto, di verifica e di follow up del paziente per tutte le esigenze di cura e poi non metterlo nelle condizioni di essere integrato e pro-attivo con le strutture specialistiche (peraltro oberate da liste di attesa e insufficienza dei budget assegnati) o le strutture sociali del territorio (sottofinanziate e già al limite della loro operatività) rimane una dichiarazione di principio.

In buona sostanza, forse, ciò che è mancato è una funzione apicale regionale, con adeguati poteri trasveraali, quasi un commissario all'integrazione ospedale e territorio,  che avesse appunto come obiettivo prioritario l’integrazione.

Questa esigenza di alto coordinamento, sebbene con sfumature differenti, pare ora  emergere anche nelle varie ipotesi di riforma del servizio sanitario regionale che nei prossimi mesi saranno all'attenzione del Consiglio regionale.

Sicuramente ci vuole maggior coordinamento per un'unità di azione, ma accanto al coordinamento serve anche effettività di potere in chi dovrà coordinare. Se poi si volesse realmente incidere in modo efficace sull'integrazione ospedale territorio, si dovrebbe allora pensare anche a una specifica direzione dell’Assessorato al Welfare a questo scopo.

Ricordo che tra gli obiettivi dichiarati del Recovery Fund c’è anche quello di “potenziare e riorientare il SSN verso un modello incentrato sui territori e sulle reti di assistenza socio-sanitaria”. Pure il testo sacro del Recovery Fund ci dice di potenziare la prevenzione e l’assistenza territoriale, migliorando la capacità di integrare servizi ospedalieri, servizi sanitari locali e servizi sociali, per garantire continuità assistenziale, approcci multiprofessionali e multidisciplinari, percorsi integrati ospedale-domicilio a tutta la popolazione.

Tra i progetti che sono state individuate vi sono:

  • Casa della Comunità e presa in carico delle persone 
  • Casa come primo luogo di cura e Assistenza domiciliare 
  • Sviluppo delle cure intermedie

Sono ben noti a noi lombardi i contenuti di questi tre progetti, perché in Regione Lombardia ne siamo stati precursori. Oggi sono però richieste energie nuove per essere attuati su larga scala, con una nuova energia e autorevolezza di integrazione, coordinamento e attuazione.