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Psicologia Clinica e Neuropsicologia a Milano in Auxologico

Pubblicato il 28/08/2024 - Aggiornato il 14/10/2024

L’offerta di Neuropsicologia e di Psicologia clinica all’interno del Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative a Milano. Che cosa, chi, come, perché.

Prof. Luigi Tesio

Fisiatra, Direttore del Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative

Prof.ssa Nadia Bolognini

Direttore del Servizio di Neuropsicologia e Psicologia Clinica

Il nome  “Psicologia”  sembra definire  letteralmente tutto “lo studio della mente”. Tuttavia il paziente rimane spesso disorientato dalla variegata serie di denominazioni che descrivono diverse discipline all’interno di quest’area scientifica, in particolare: 

  • Neuropsicologia;
  • Psicologia clinica;
  • Psicologia cognitiva;
  • Psicoterapia;
  • Logopedia.

Nemmeno la sovrapposizione e le differenze di contenuti rispetto alla Psichiatria appaiono sempre nitide. 

Questo documento vuole essere una scheda informativa che guida il paziente attraverso i diversi termini sopra citati. Si affianca a un precedente contenuto informativo sulla stimolazione cerebrale e midollare magnetica o elettrica non invasiva. Il suo scopo è anche quello di chiarire il razionale della offerta formativa in quest’area da parte del Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative dell’Istituto Auxologico Italiano in Lombardia. Il testo farà riferimento soltanto ai campi applicativi della Psicologia in àmbito ospedaliero e su soggetti adulti e non ha alcuna pretesa di adeguarsi a definizioni ufficiali ma ha soltanto l’intenzione di informare in modo semplice e discorsivo il lettore inesperto. 

Per approfondire:

La Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva;

La Stimolazione Cerebrale non Invasiva Terapeutica;

La Stimolazione Cerebrale e Spinale con Corrente Continua.


    Psicologia

    La Psicologia è una vasta area scientifica che si estende allo studio della mente e del comportamento non soltanto dell’Uomo di qualsiasi età ma anche  di altri animali, ed anche allo studio di comportamenti di intere comunità osservate in quanto tali. La Psicologia si applica sia a soggetti in salute, sia a soggetti malati o disabili.

    In Medicina il termine indica comunemente diagnosi e terapia relazionale (attraverso la relazione curante-paziente)  per disturbi che affliggono la persona umana nel suo complesso, per il suo “star male” non localizzabile in segmenti corporei. Nel linguaggio comune essa può apparire un sinonimo di “Psicologia clinica”, tema di cui si tratta nel paragrafo successivo.  Le cause di questo tipo di “star male” possono essere anch’esse prive di localizzazione evidenziabile anatomicamente (si pensi a una depressione successiva ad un grave lutto o ad una condizione di ansia per problemi familiari o di lavoro) ma possono anche essere localizzabili (si pensi a una difficoltà di linguaggio a seguito di una lesione in particolari zone cerebrali). Lo psicologo si avvale, oltre che del colloquio conoscitivo con il soggetto e  con le persone di contesto, anche di test quantitativi. Questi ultimi sono sostanzialmente  test comportamentali (scritti, verbali, manuali). Gli strumenti terapeutici sono sostanzialmente basati su forme di colloquio che possono avere diversi scopi (autocoscienza ed “esteriorizzazione” del problema, guida verso comportamenti adattativi o altro) o sono basati su varie forme di stimolazione sensoriale o cognitiva. In Psicologia si stanno diffondendo anche tecniche basate su tecnologie informatiche come ambienti simulati e interattivi in realtà virtuale. Lo Psicologo che studi dei soggetti malati o disabili si avvale delle conoscenze acquisite attraverso percorsi diagnostici di tipo medico e integra il suo intervento terapeutico con eventuali altri interventi di tipo sanitario.


    Psicologia Clinica

    Con l’aggettivo “clinica” (dal Greco clìno, chinarsi - sul malato, ovviamente) si vuole delimitare  un particolare obiettivo dell’intervento psicologico. Lo Psicologo, ricorrendo alle tecniche diagnostiche e terapeutiche adeguate, mira ad attenuare una sofferenza psicologica che il paziente riferisce al “se’” nel suo complesso: depressione, ansia, ossessività, dipendenze, alterazioni del rapporto con il cibo,  difficile gestione della rabbia ecc. Come sopra accennato questo “star male” può nascere senza alterazioni cerebrali oggettivabili ma anche, quando ve ne siano, indipendentemente da queste. Per esempio il paziente che inizi a perdere memoria e capacità di orientamento per una degenerazione cerebrale può avere problemi psicologici specifici per il tipo e per la sede della patologia ma anche problemi che si potrebbero definire “della persona in generale”:  per esempio ansia e depressione “secondarie”, in risposta alla drammatica presa di coscienza della nuova condizione cognitiva, specialmente se questa è progressiva e inguaribile. La Psicologia “clinica” è mirata su questo secondo tipo di problemi (problemi “generali” della persona), primari o secondari che siano, mentre la psicologia “delle funzioni cognitive” che qui si identificherà con Neuropsicologia clinica, è mirata al primo tipo di problemi (alterazione di singole funzioni cerebrali, senza generare  necessariamente sofferenza della persona nel suo complesso). Prima di entrare nel tema della Psicologia “delle funzioni cognitive” o Neuropsicologia è opportuna una digressione metodologica.

    Leggi anche: Psicologia, Psicoterapia e Psichiatria: le differenze


    Psico-terapia: cosa si intende?

    Si intende per psico-terapia intende una forma di terapia propria della Psicologia clinica e basata sul colloquio (ma sarebbe meglio dire sulla relazione) fra Psicologo e paziente e/o fra Psicologo e le persone di contesto significative per il paziente. Esistono molte forme di Psicoterapia (alcune brevi, alcune prolungate nel tempo) che seguono diverse scuole di pensiero e adottano diverse tecniche. Il titolo di “Psicoterapeuta” non è universitario ma di fatto esistono Scuole autorevoli, rigorosamente riservate a Psicologi, che offrono Diplomi a seguito di impegnativi programmi di formazione quadriennale.


    Frazionare mente e cervello: funzioni e aree corticali “cognitive”. Disturbo “psicologico” e danno “organico”

    Una prospettiva  della osservazione clinica fa risaltare un  funzionamento unitario dell’intero cervello. Questa prospettiva è riluttante nel dividerlo in aree provviste di specifiche funzioni. La percezione della persona è quella di un “io” unitario, anche se la persona stessa è capace delle più varie attività mentali sia consce, sia inconsce (si pensi al sogno). La neuropsicologiaprospettiva opposta, invece, fa risaltare l’evidenza che la lesione o la stimolazione di specifiche aree cerebrali possono modificare in modo selettivo alcune funzioni non soltanto motorie ma anche cognitive, ovvero la percezione, il linguaggio, la memoria, l’attenzione e altre ancora. Sulla base di queste osservazioni negli ultimi due secoli sono state identificate (all’inizio ingenuamente, oggi con grande rigore) numerose aree della corteccia cerebrale in grado di provocare specifici disturbi “cognitivi”: per esempio una o più aree del linguaggio, aree visive, aree dedicate alla integrazione fra diverse sensazioni, aree dedicate alla memoria,  ecc. Nasce dunque una separazione (vera e propris “dicotomia”) tuttora irrisolta: da una parte la mente, che reclama una sua indivisibilità pur nella varietà di funzioni che essa sa svolgere; dall’altra parte il cervello, che della mente è il presupposto ma che è frazionabile in aree anatomiche che sembrano funzionare come i moduli elettronici di un computer (una visione, quest’ultima, definibile “organicista” o “fisicalista”).


    “Psicologico” e “organico”: conviene essere pragmatici, non ideologici

    Va premesso che in questo testo  “mente” equivale a psiche, che traduce più direttamente il termine greco “psyche”.  In patologia la dicotomia mente/cervello si esprime con i termini di “disturbo psicologico” o “psichico” o “mentale” o “funzionale” (sostanzialmente soggettivo) in opposizione a danno “organico” ovvero oggettivabile. Non a caso si parla di  “disturbo” in un caso e di “danno”  nell’altro caso.  I due termini vogliono indicare rispettivamente l’assenza o la presenza di alterazioni anatomiche, chimiche o fisiche riscontrabili oggettivamente (ovvero con metodi strumentali o al tavolo anatomico): in entrambi i casi, però,  si ammette una sofferenza della  persona.  Il tema è davvero intricato filosoficamente. E’ ben noto che alterazioni fisiche possano alterare la vita psichica:  per dimostrarlo basta l’esperienza di una lesione che provochi dolore il quale di per sé è una esperienza, appunto, mentale. Nel contempo, tuttavia, è evidente che anche in caso di sofferenza primitivamente “psicologica” vi saranno modificazioni di circuiti nervosi, benché queste modificazioni siano spesso difficili da evidenziare. Dunque a ben vedere non è corretto  sostenere  che una sofferenza psicologica sia “non organica”, se non addirittura “inventata” o  “irreale” .  Lasciamo ai filosofi risolvere (se mai sarà possibile) il dilemma mente/cervello e veniamo alla pratica clinica.  Quando si adotti una visione totalmente organicista-fisicalista diventa contraddittorio intervenire su uno stato depressivo sia con colloqui psicologici sia con farmaci, sia con stimolazione cerebrale non invasiva : il colloquio (o meglio, l’intera relazione curante-paziente) ha la pretesa di agire  “sulla mente” mentre il farmaco e la stimolazione cerebrale magnetica o elettrica hanno la pretesa di agire “sul cervello”. Tuttavia è ben vero che singoli casi clinici rispondono meglio all’uno o all’altro dei trattamenti e spesso ancora meglio a diverse  loro combinazioni. In Medicina non conviene risolvere ideologicamente il dilemma causale uovo/gallina in favore di uno dei due contendenti. Bisogna lasciare la soluzione pratica alla ricerca sperimentale. Si useranno le tecniche (di tipo appropriato e in varie combinazioni) che la sperimentazione scientifica dimostrerà più efficaci per ridurre la sofferenza del paziente. 


    Funzioni cognitive e Neuropsicologia clinica: dal cervello alla mente 

    Il tema della dicotomia mente/cervello sconfina in argomentazioni assai complesse di tipo neurologico, filosofico ed etico. Tuttavia qui interessa chiarire in quale senso si usi il termine “funzioni cognitive” nella pratica clinica. Il termine indica specifiche capacità mentali. Queste si alterano selettivamente quando si modificano (a causa di patologia o di esperimenti) certe aree cerebrali, cosa che ha suggerito l’analogia (che rimane soltanto un’analogia) con la relazione causa-effetto fra   diversi circuiti elettronici di un computer e le diverse funzioni che essi rendono possibili. Per esempio sono funzioni cognitive, ciascuna modificabile con alterazioni di specifiche aree cerebrali,  la capacità di produrre o di comprendere il linguaggio parlato o scritto, la capacità di orientarsi nello spazio, la capacità di calcolo, la capacità di attenzione, la memoria, la capacità di programmare attività finalistiche attraverso gesti in sequenze complesse (funzioni “esecutive”) ecc.  

    La Neuropsicologia applicata alla patologia umana, ovvero la Neuropsicologia clinica, si occupa dal punto di vista sia diagnostico, sia terapeutico, delle alterazioni di funzioni cognitive specifiche (linguaggio, memoria, orientamento spaziale ecc.)  connesse a lesioni o disfunzioni di particolari aree cerebrale nell’Uomo. Dunque è una disciplina che pende verso una visione fiscalista dell’attività cerebrale.  

    Leggi anche: Neuropsicologia Clinica e Cognitiva, dal cervello alla mente


    Il Neuropsicologo: chi è?

    Dal punto di vista universitario il termine indica una Specializzazione post-laurea magistrale in psicologia o – in passato- in medicina. Attualmente il curriculum dello specialista comprende una Laurea magistrale di 5 anni in Psicologia cui si aggiungono 4 anni di Specializzazione in Neuropsicologia. La Specializzazione, oppure il possesso di titoli professionali valutati dall’Ordine come  equipollenti,  resta vincolante ai fini della  possibilità del professionista  di qualificarsi come “Psicologo Neuropsicologo”.  

    La Neuropsicologia clinica, comunque la si voglia denominare,  resta dunque una Disciplina specialistica unitaria assai complessa, estremamente utile in Medicina e applicabile ogni qual volta vi siano sufficienti evidenze di una causa organica identificabile del deficit di particolari funzioni cognitive. Questo non esclude, ovviamente, che essa debba integrarsi nella cura del singolo paziente sia con la Psicologia clinica sia con discipline mediche come Neurologia, Fisiatria, Geriatria, Psichiatria.

    Sorge però una domanda: le lesioni cerebrali sono sempre così isolate da alterare singole “aree” funzionali? Certamente no. La lesione di un’area cerebrale altera le sue connessioni con altre aree che possono entrare in sofferenza a loro volta. Talvolta le alterazioni organiche cerebrali possono essere troppo diffuse perché i diversi disturbi cognitivi  si possano affrontare ragionevolmente come se fossero indipendenti. Si parla allora di “deterioramento cognitivo” e, nei casi più gravi e conclamati, di forme di demenza.  Alla Neuropsicologia del “deterioramento cognitivo” è dedicato il paragrafo che segue.


    Il “deterioramento cognitivo”

    In Medicina  è ormai  invalso l’uso del termine “deterioramento cognitivo”. Il termine vuole indicare il declino del funzionamento cognitivo, di ordine fisiologico nel caso dell’invecchiamento o patologico nel caso di malattie neurodegenerative, con disfunzioni graduali di diverse funzioni “cognitive”. Il termine abbraccia diverse forme di demenza qualora il deterioramento cognitivo comprometta l’autonomia nella vita quotidiana. La diagnosi formale di demenza è di competenza medica, è molto complessa e richiede spesso professionalità multiple non soltanto neuropsicologiche ma anche neurologiche, psichiatriche, geriatriche.  Si consideri che oggi si parla di demenze al plurale perché questa diagnosi tende a differenziarsi in molte classi diverse mano a mano che le conoscenze neurologiche aumentano. Un quadro di “deterioramento cognitivo” si innesta spesso  (anche se non sempre) su patologie degenerative che si diffondono progressivamente a vaste aree cerebrali e sono in gran parte, almeno per ora, rallentabili ma non guaribili. Viceversa, un tipico ictus da ischemia cerebrale o l’escissione di un tumore cerebrale benigno provocano una lesione che non ha tendenza ad evolvere anatomicamente (anche se le conseguenze della disconnessione con altre aree cerebrali possono manifestarsi e progredire nel tempo).

    Psicologia e obiettività strumentale: una relazione molto variabile 

    Sia condizioni di sofferenza psicologica riferibile alle persona nel suo complesso  (si pensi ad ansia o depressione) sia  il deficit di singole o multiple funzioni cerebrali (linguaggio e memoria, per esempio)  possano associarsi ad alterazioni organiche. Sempre più spesso queste ultime sono riscontrabili con tecniche di imaging (varie tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare, TAC, PET), tecniche biochimiche (eccesso o carenza di certe molecole note per influenzare l’attività cerebrale) e neurofisiologiche (studi di eccitabilità elettrica di aree cerebrali e studi delle loro connessioni anatomiche ed elettriche). Tuttavia occorre grande prudenza nell’ipotizzare un rapporto causa-effetto fra lesioni e alterazioni mentali. Per prima cosa le nostre conoscenze sulla circuitistica del cervello (la struttura più complessa dell’Universo, secondo un premio Nobel per la Fisiologia) sono davvero molto limitate. In secondo luogo la “unitarietà” del cervello riemerge nell’influenzare l’esito di lesioni focali: basti pensare a personalità  individuale e livello culturale, per esempio,  che influiscono sulla motivazione e sulla capacità di adattamento in misura diversa nelle singole persone, anche a parità di lesione. 


    Obiettività nella sofferenza psicologica “della persona in generale”

    Intendiamo qui per “generale”, come già  richiamato, una sofferenza psicologica a livello della persona, un “io soffro” (un filosofo direbbe: una sofferenza a livello “fenomenico”, un antropologo direbbe “fenotipico”): il campo di intervento tipico della psicologia “clinica”. La diagnosi specifica (l’”io” può soffrire in vario modo e per i più vari motivi, purtroppo) viene fatta dallo Psicologo sulla base di quello che la persona comunica verbalmente o attraverso altri comportamenti. In molti di questi casi non si riesce ad evidenziare, almeno con le tecniche oggi disponibili, alcuna patologia organica cerebrale. Quand’anche ci si riesca non esiste necessariamente un rapporto causale certo e univoco fra patologia organica e sofferenza della persona.  Uno stato depressivo può non avere alcun correlato “organico” attualmente evidenziabile oppure può avere un correlato di cui è difficile definire un ruolo causale unidirezionale (un’alterazione metabolica o neurofisiologica è causa o effetto di un disturbo di ansia?). Per restare in tema di disturbo d’ansia, questo potrebbe avere un correlato organico sospetto di un ruolo causale ma molto poco sensibile e specifico (per esempio un modesto idrocefalo atrofico) oppure un correlato davvero molto sospetto (per esempio, un marcato ipertiroidismo).


    Obiettività nel disturbo cognitivo “organico”

    Occorre molta prudenza anche nell’ipotizzare un rapporto causale fra lesioni organiche e alterazioni di funzioni cerebrali molto specifiche: per esempio, un disturbo di linguaggio o un disturbo nell’orientamento spaziale. In questi casi di solito è noto il ruolo delle aree lese nel consentire una certa funzione cerebrale prima della lesione. Tuttavia  vi sono importanti variazioni individuali: per esempio le aree “del linguaggio” di regola sono localizzate nell’emisfero cerebrale sinistro ma talvolta sono bilaterali o controlaterali. Inoltre vi è grande variabilità nelle capacità di compenso dei circuiti cerebrali e nel supporto fornito al paziente dal suo contesto relazionale:  anche se le lesioni appaiono simili in due pazienti, le loro risorse adattative e quindi la loro evoluzione clinica potrebbero essere molto diverse (ecco un campo di intervento della Psicologia clinica).  


    Psicologia e Psichiatria: chi è chi?

    Il già citato uomo della strada, quale che sia il suo livello culturale,  è spesso disorientato di fronte alle offerte di “psico”-specialisti di diverso tipo. In particolare, quando ci si dovrebbe rivolgere a uno Psicologo e quando a uno Psichiatra?  Nel caso di deficit cognitivi specifici ovviamente lo specialista di riferimento è il Neuropsicologo. Molto più sfumata è la situazione di disturbi psichici “generali”. La soluzione ideale varia molto da caso a caso: meglio farsi consigliare da un medico di fiducia.

    Bisogna tenere presente che lo Psichiatra non è uno Psicologo. Lo Psichiatra è un medico che ha seguito un Corso di specializzazione universitaria quadriennale. In quanto medico lo Psichiatra può prescrivere farmaci oltre che agire attraverso la relazione. Egli è lo specialista di riferimento nella prescrizione di farmaci capaci di influenzare lo stato dei suoi pazienti, che essi abbiano o no una evidenza di lesioni cerebrali. Lo Psichiatra ha ovviamente conoscenze di area psicologica ma interviene tipicamente in casi alquanto specifici di alterazione del comportamento ai quali sono applicabili  -con il dovuto buon senso - le definizioni diagnostiche ufficiali (alcune centinaia) dei “disturbi psichiatrici”: si pensi a patologie come schizofrenia, disturbi ossessivi-compulsivi, forme di delirio, dipendenze da alcool e droghe, ecc. Ma non per questo egli interviene soltanto in forme così gravi e specifiche. Il suo contributo può essere assai utile anche in forme con gravità medio-lieve di depressione o di ansia, attacchi di panico, disturbi del sonno, agitazione psicomotoria ecc.  Spesso ma non necessariamente  lo Psichiatra chiede la collaborazione dello Psicologo per favorire un completamento diagnostico o in generale quando egli veda indicazione a psicoterapia. Spesso ma non necessariamente avviene il contrario, in particolare quando lo Psicologo ravveda la necessità di una diagnosi precisa di patologia psichiatrica e/o ipotizzi l’utilità della prescrizione di farmaci.


    Il Logopedista

    Quale è il ruolo specifico del Logopedista, rispetto a quello del Neuropiscologo? Il Logopedista ha una Laurea sanitaria triennale. Per quanto qui di interesse il logopedista esegue trattamenti di varie forme di alterazione del linguaggio parlato e scritto (afasie, dislessie, disartrie), sulla base della diagnosi del Neuropsicologo. Questa figura si occupa anche di disturbi della deglutizione (disfagie) e della produzione della voce (disfonie).  Tutti questi problemi sono assai comuni in un Dipartimento di Riabilitazione Neuromotoria o di Neuroscienze. Non sorprende, dunque, che il Logopedista sia il tecnico sanitario di riferimento per molti specialisti: il Neuropsicologico e il Fisiatra in primo luogo, ma anche il il Neurologo, il Geriatra, il Foniatra, l’Otorinolaringoiatra.


    L’offerta Neuropsicologica e di Psicologia clinica nel Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative

    Il Dipartimento è diretto da un Fisiatra, il Prof. Luigi Tesio e comprende una Unità operativa di Neuropsicologia e Psicologia Clinica diretta dalla prof. ssa Nadia Bolognini e al quale afferisce personale di ricerca universitario. [Auxologico Capitanio - Milano]

    Su richiesta dei Medici del Dipartimento i Neuropsicologi  intervengono per diagnosi e terapia  sia su pazienti degenti, sia su pazienti ambulatoriali che presentino alterazioni di specifiche funzioni cognitive (linguaggio, memoria, orientamento spaziale ecc., come sopra illustrato). E’ possibile anche un accesso diretto alle prestazioni di Neuropsicologia e Psicologia clinica (test cognitivi, colloqui psicodiagnostici e psicoterapici, trattamenti cognitivi).

    Alcuni specialisti Neuropsicologi (i quali,  non va dimenticato, sono Laureati magistrali in Psicologia) svolgono anche funzione di sostegno psicologico “generale” (nel senso sopra specificato) a pazienti e loro persone di assistenza (familiari e/o caregivers). Infatti alcuni specialisti si sono anche sono anche formati specificamente in Psicoterapia.  I trattamenti del linguaggio sono svolti da Logopedisti (si veda sopra) che afferiscono direttamente al Dipartimento.   

    L’Unità di Neuropsicologia e Psicologia Clinica svolge anche una intensa attività di ricerca, attraverso un suo Laboratorio,  in stretta collaborazione con il Laboratorio di Ricerche Neuromotorie.

    Va segnalato che il Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative   non prende in carico pazienti con patologie neurodegenerative che comportino deterioramento cognitivo, come per esempio varie forme di demenza (condizioni alle quali si è sopra accennato). Questa area della Neuropsicologia è seguita specificamente dal Dipartimento di Neuroscienze [Auxologico Mosè Bianchi - Milano]. 

    Ricordiamo che il Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative è articolato in quattro Unità Operative: dirette da Medici Fisiatri oltre a quella - sopra descritta- diretta da un Neuropsicologo. Le quattro Unità a direzione fisiatrica sono:

    1. un’Unità di degenza intensiva riservata pazienti con disabilità neuromotoria post-acuta (postumi di ictus, esiti di interventi neurochirurgici, malattie infiammatorie del sistema nervoso ecc.) , con una quota minore di pazienti con disabilità post-acuta successiva ad interventi ortopedici (tipicamente, protesi di anca e ginocchio). [Auxologico Capitanio - Milano].
    2. Un’unità ambulatoriale per disabilità “complesse” che offre riabilitazione erogata con modalità a tipo day-hospital (regime MAC-SSN, Regione Lombardia). La “complessità” si traduce in programmi ai quali collaborano operatori con diverse qualifiche professionali: oltre che il medico Fisiatra, 2 o più fra fisioterapista, terapista occupazionale, dietologo, psicologo, infermiere, logopedista. Prevalgono nettamente pazienti con disabilità di origine neurologica [Auxologico Capitanio - Milano].
    3. Un’Unità ambulatoriale nella quale il programma riabilitativo può essere affidato anche ad un solo operatore (per esempio fisioterapista o logopedista). Qui  prevalgono pazienti con disabilità di origine  ortopedica  [4 sedi in Milano, e poi sedi in Pioltello, Meda, Como]. 
    4. Un Laboratorio di Ricerca Neuromotoria che lavora su temi neurofisiologici, biomeccanici e statistico-metodologici [Auxologico Capitanio - Milano].

    Integrazione con la Fisiatria 

    Perché una Unità di Neuropsicologia e Psicologia clinica è inserita all’interno di questo Dipartimento? Per almeno due buoni motivi.

    L’assistenza

     Il primo motivo è la forte complementarietà fra riabilitazione neuromotoria e riabilitazione cognitiva (o neuropsicologica che dir si voglia). Gran parte di pazienti con lesioni cerebrali rientrano anche nella casistica propria della Neuropsicologia ovvero presentano alterazioni di una o più funzioni cognitive dipendenti da lesioni cerebrali: si pensi (e sono soltanto due esempi) alle alterazioni del linguaggio o del campo visivo. Nel Dipartimento esiste ormai una tradizione ventennale di collaborazione fra Fisiatri, Fisioterapisti, Terapisti occupazionali, Logopedisti e Infermieri, da un lato, e Neuropsicologi dall’altro lato. La Psicologia clinica è anch’essa fondamentale perché, come sopra si è cercato di spiegare, il paziente che si ritrova improvvisamente (e talora irreversibilmente) disabile, anche se non ha lesioni al cervello  ma in altre sedi, attraversa una grave crisi di sofferenza psicologica “generale” e va quindi sostenuto anche al fine di facilitare il percorso riabilitativo neuromotorio: il quale richiede la massima collaborazione possibile da parte del paziente stesso. Si aggiunga che una competenza psicologica e psicoterapica può dare grande sostegno alle dinamiche interne alla variegata équipe di cura, alle relazioni fra curanti e pazienti e alle relazioni che familiari e caregivers intrattengono con pazienti e curanti. 

    La ricerca

     Il secondo motivo è la forte integrazione fra ricerca neuromotoria e ricerca neuropsicologica. Un forte ambito di intersezione è l’applicazione della stimolazione cerebrale non invasiva (elettrica, tDCS) o magnetica (TMS) (si veda l’apposito documento realizzato per dare una informazione divulgativa sul tema). Queste tecniche consentono di stimolare o di inibire, in modo del tutto non invasivo,  aree selettive del cervello e quindi consentono di intervenire su deficit sia  motori, sia sensitivi, sia cognitivi; emergono anche indicazioni su condizioni tipicamente trattate dalla psicologia clinica come  depressione e dipendenze.  Le competenze specifiche del Dipartimento, negli ultimi venti anni, sono maturate sia in campo neuro-fisiatrico sia in campo neuropsicologico: motivo che spiega la stretta collaborazione fra Neuropsicologi, Fisiatri e Bioingegneri di entrambi i Laboratori su progetti di ricerca comuni. Vi sono poi progetti di ricerca motoria che richiedono valutazioni dello stato cognitivo dei pazienti e vi sono anche progetti di ricerca intrinsecamente psicologici (per esempio, sulla percezione di dolore, o sulla percezione di efficacia di risultati chirurgici) che richiedono competenze statistiche particolari (psicometria)  maturate specificamente nel laboratorio di ricerche neuromotorie.   


    Informazioni

    Per maggiori informazioni è possibile contattare uno dei seguenti recapiti:

    segreteria.uornm@auxologico.it - tel 02.619116151  fax 02.619116155